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VARROA E API ALLA DERIVA
25 Set 2021

VARROA E API ALLA DERIVA

Post by la redazione

VARROA: IL FENOMENO DELLA ‘DERIVA’ DELLE API E LA REINFESTAZIONE

PARTE SECONDA DI QUATTRO

Libera traduzione da Randy Oliver, American Bee Journal, aprile e maggio 2018, vol.158, nn 4 e 5. ‘The varroa problem part 16 e 16b: Bee drift and mite dispersal’. Vedi introduzione.

L’affollamento degli apiari

Fries e Camazine[1] già molti anni fa riflettevano:

‘La deriva verso la colonia sbagliata accade maggiormente negli apiari dove maggiore è la densità di colonie rispetto alle condizioni naturali. Al contrario, poca o nulla è l’evidenza che in condizioni ‘naturali’ si trasmettano malattie attraverso la deriva. Tali sono le distanze che questo fenomeno in pratica non accade’.

In natura le colonie di api sono molto lontane le une dalle altre, in accordo con la disponibilità di siti idonei a nidificare e le possibilità di sopravvivenza offerte dell’ambiente. Seeley[2] riporta un dato di 2,5 colonie per miglio quadrato (circa 2,6 km2) nella foresta di Arnot ( tanto prima che dopo l’arrivo della varroa). In queste condizioni, la più annebbiata delle bottinatrici potrebbe tornare a casa seguendo tracce odorose e assai improbabili potrebbero essere tanto la deriva quanto il saccheggio.

Secondo Hepburn[3], le api mellifere possono avere una densità tra 1 e 20 colonie per miglio quadrato. Le colonie allevate sono però in continuo aumento e dove il pascolo è favorevole, ci si colloca all’estremo superiore di questo range. Jaffé[4] ha fatto dei calcoli partendo dalla diversità genetica dei fuchi e la sua stima è di circa 15/20 colonie per miglio quadrato. Se faccio un calcolo rapido delle mie colonie e del territorio su cui insistono, mi ritrovo in questa stima. Ma non calcolo altri apiari dove stazionano centinaia o migliaia di alveari molto prossimi ai nostri[5].

E’ chiaro che con questa densità (15 alveari per un raggio di volo di mezzo miglio, 800 metri circa) deriva e saccheggio rendano facile a varroa diffondersi da alveare ad alveare.

Dati raccolti sulla deriva di operaie e fuchi tra alveari

Gli apicoltori devono cercare di avere ben chiaro il fenomeno della deriva delle api nei loro apiari. La situazione creata da molte arnie poste a livello terra in un apiario è evolutivamente innaturale per le api: non sono adattate a questo scenario.

Diverse le ricerche che hanno documentato l’entità non trascurabile della deriva delle operaie, anche prima che la varroa entrasse in scena.

Jay[6] aveva rilevato che tra il 5 e il 10% delle api degli alveari di un pallet scambiano ingresso. Non solo: anche arnie non ‘pallettizzate’, semplicemente in file da tre, vedono circa il 35% di api segnate introdotte nell’arnia centrale spostarsi in una di quelle laterali.

Altro studio sempre su arnie poste in file: Pfeiffer e Crailsheim[7] registrano che dal 50 al 90% delle api segnate non rientrano nell’alveare di origine e addirittura, circa il 15% di queste api ‘alla deriva’ cambiano casa almeno tre volte durante il loro arco di vita. Secondo questo studio ben il 40% delle bottinatrici di una famiglia … potrebbe essere composto da api nate in un’altra colonia!!

Sorprende inoltre l’ulteriore osservazione per cui sono più soggette a lasciare la famiglia di origine api provenienti da alveari che hanno un rapporto alto tra covata e api adulte, tipico di colonie in rapida crescita – dato per cui non ho spiegazione. Tuttavia, non appare correlazione significativa tra deriva e numero di varroe presenti ( nessuno degli alveari monitorati è collassato a causa di varroa durante questo studio).

Secondo un’altra ricerca[8] la deriva interessa soprattutto le api nei primi voli di orientamento e inoltre, ‘sposta’ le api da colonie deboli a colonie forti. La deriva è il prodotto della confusione e infatti accade soprattutto fra arnie adiacenti[9]. Con l’uso di transponder si è visto come la deriva accada all’interno dell’apiario, per quando sia stato osservato come possa occasionalmente accadere anche su tratte di anche mezzo chilometro. Seeley[10] documenta, per quando riguarda i fuchi, un rimescolamento di oltre il 50 % dei maschi di un apiario, contro numeri irrisori quando le arnie siano ad almeno 30 metri l’una dall’altra. La deriva dei fuchi è un fenomeno di adattamento evoluzionistico che ovviamente precede l’arrivo di varroa: consente una migliore dispersione del patrimonio genetico di una colonia, rendendo accessibili aree di congregazione troppo distanti dal luogo di nascita dei maschi.

Penso che forse  per l’alveare non sarà più un vantaggio sul piano evoluzionistico l’accettazione di fuchi ‘non indigeni’ .

Vediamo il lato positivo: Goodwin[11], usando api contrassegnate con diversi colori, rileva come solo l’1% di operaie si sposti durante l’estate da alveari sull’orlo del collasso da varroa in quelli vicini. Anche questo è un dato che sorprende, specialmente considerando che lo stesso autore aveva fatto ben altre osservazioni rispetto alla deriva, registrando un 13% di spostamenti nel corso di due soli giorni di registrazioni![12]

Cerco di riorganizzare le idee: quindi, per quanto in un apiario la deriva delle api sia causata da confusione e difficoltà di orientamento, non è ancora chiaro se questo contribuisca alla dispersione della varroa foretica. Comunque sia, cercare di distanziare gli alveari collocandoli in terreni con punti di riferimento ben visibili e anche una opportuna differenziazione delle arnie (colori, etc) può aiutare a ridurre la deriva.

Anche con un buon senso dell’orientamento, non è facile ritrovare il punto di partenza

Diffusione degli acari

La costante deriva delle operaie tra alveare e alveare crea un sistema di pronto trasporto della varroa nel vicinato. Uno studio dei laboratori di Tucson (Arizona) segnala come il tasso di infestazione di varroa foretica misurato sulle api adulte corrisponda all’incirca a quello rilevabile sulle sole bottinatrici, cioè sulle api che escono dall’alveare[13]. Altri studi hanno cercato di mettere in relazione la distanza tra arnie e la curva di crescita della popolazione di varroa: i risultati suggeriscono come la deriva (o meglio: dispersione) delle varroe avvenga soprattutto nella tarda estate. Il fenomeno assomiglia ai movimenti delle molecole… in una data area (apiario)  le varroe si spostano da alveari dove sono più concentrate a quelli dove lo sono meno. Se il fenomeno fosse puramente casuale, ci aspetteremmo che in un apiario si giunga ad una equa distribuzione dei tassi di infestazione. Insomma, possiamo sapere di fatto quante varroe possano trasferirsi da una colonia ben infestata alle altre? Ho provato a fare qualche ragionamento e qualche simulazione. Certo, non è un calcolo semplice perché ci sono troppe variabili non misurabili. Il mio modello suggerisce comunque che anche una minima importazione (immigrazione) di 10 varroe al giorno non creerà troppi problemi ad un alveare che riceva almeno un trattamento anti varroa all’anno.

Eppure, mi è capitato molte volte di trovarmi con alveari gestiti e trattati allo stesso modo in un apiario dove trovo uno accanto all’altro alveari con conta di varroa che varia tra zero e cinquanta! Quello che mi chiedo è se gli alveari meno infestati in qualche modo siano in grado controllare la sgradevole importazione, allontanando le api alla deriva (o in altro modo).

Esistono alveari che attirano più di altri ….api alla deriva?

Questo argomento mi rammenta una chiacchierata che ebbi anni fa con Jerry Bromenshenk: parlavamo dei risultati dei suoi sistemi elettronici di conta delle api in entrata. Aveva rilevato come in ogni apiario ci fosse qualche alveare che guadagnava api e altri che le perdevamo: pare insomma che alcune colonie forti siano più attrattive per le bottinatrici.

Prima della varroa, questo era senza dubbio un grande vantaggio evolutivo, ma oggi la situazione si è invertita. Mi chiedo se al contrario quindi uno dei tratti vincenti per la resistenza alla varroa sia l’assenza di segnali olfattivi che attraggano fortemente api da altri alveari.

Per quali altri motivi le api entrano in alveari che non sono i loro?

L’abilità delle api di tornare al proprio alveare di nascita con precisione estrema è nota. Per osservarlo basta spostare un’arnia di qualche decina di centimetri e poi star lì ad osservare le bottinatrici galleggiare nell’aria proprio dove si trovava pochi minuti prima l’ingresso dell’arnia, che poi rintracciano grazie all’olfatto. Senza questa incredibile capacità di navigazione, una colonia potrebbe perdere ogni giorno così tante api da non riuscire a sopravvivere.

Quindi, quando si parla di deriva, la prima domanda che mi pongo è perché accada. Posso capire la propensione alla deriva dei fuchi, come detto è un vantaggio evolutivo, ma non riguarda certo le operaie. Anzi, verrebbe piuttosto da pensare che le colonie di api dovrebbero fare di tutto per evitare la deriva, sia perché si tratta di perdere un investimento di risorse (crescere e formare una bottinatrice!), sia perché api che cerchino di introdursi furtivamente possono con buona probabilità essere saccheggiatrici oppure portare con loro patogeni estranei.

Detto questo, ci sono alcune ragioni che determinano la deriva oltre alla semplice confusione in un apiario. 

L’allontanamento ‘altruistico’

In una ricerca a firma Kralji e Fuchs[14] emergono diversi aspetti degni di attenzione: le api bottinatrici che escono con una varroa addosso trascorrono più tempo nei voli e hanno anche maggiore difficoltà ad orientarsi tanto che fanno rientro in proporzione in numero minore rispetto alle api non parassitizzate. Un quinto delle api rientrate avevano ‘ perso ‘ la loro varroa (forse passata su un’altra ape durante la visita di un fiore o scesa all’ingresso di un altro alveare). Gli autori ipotizzano che queste bottinatrici si sacrifichino ‘ come risposta generale alle malattie, e questo può essere un comportamento da preferire nei programmi di selezione contro varroa destructor e anche altre malattie delle api mellifere.’

Bottinatrici che visitano un fiore di tarassaco. Una scaltra varroa potrebbe facilmente cambiare mezzo di trasporto…

Non posso che essere d’accordo! Nell’approntare il mio modello sulla curva di sviluppo della varroa, ho dovuto tenere conto anche delle migliaia di varroe che si disperdono con le api che non rientrano nell’alveare – la colonia si libera di un bel numero di varroe in tarda estate/inizio autunno, proprio quando la sua popolazione naturalmente decresce. Teniamo presente il concetto di ‘intolleranza’: se ogni ogni ape parassitizzata reagisse volando immediatamente fuori dall’alveare e si sacrificasse, la varroa non sarebbe più un problema.

Gli stessi autori hanno successivamente dimostrato che le api infette da nosema si sacrificano o lasciano la famiglia di partenza per un’altra[15] .

Errori di calcolo, confusione nell’orientarsi spiegano bene come mai un patogeno facilmente passi da una colonia a quella vicina. Kralji e Fuchs hanno rilevato come api parassitizzate avessero il doppio delle possibilità di tornare ad un ingresso errato rispetto alle altre.

Il termine ‘altruistic self removal’  è stato coniato da Rueppel[16]  dimostrando con eleganza come le api malate abbandonino la colonia di origine. Un comportamento simile al sacrificio che comporta l’uso del pungiglione, per la difesa dell’alveare. In più, le api malate tendono ad assumere dei profili odorosi specifici, riconosciuti dalle compagne, al punto da spingerle ad allontanare con determinazione gli individui malati. Il virus delle ali deformi muta l’odore dell’individuo infetto stimolando appunto il comportamento aggressivo delle sorelle verso l’operaia malata[17] .

Ma non ci sono anche altri fattori di cui tener conto… (continua)


[1]Fries, I & S Camazine (2001) Implications of horizontal and vertical pathogen transmission in honey bees infested by Varroa destructor mites. Apidologie 38: 525–533.

[2] Seeley, TD, et al (2015) A survivor population of wild colonies of European honeybees in the northeastern United States: investigating its genetic structure. Apidologie, 46(5), 654-666.

[3] Hepburn, HR, et al (2014) Honeybee Nests: Composition, Structure, Function. Springer Science & Business Media.

[4] Jaffé, R, et al (2009) Estimating the density of honeybee colonies across their natural range to fill the gap in pollinator decline censuses. Conservation Biology, Volume 24, No. 2, 583–593.

[5] NdT: e nei nostri territori? L’anagrafe apistica al 30 giugno 2021 attesta una presenza di circa 86.000 famiglie di api nelle Marche. Un po’ più di 9 alveari per km2 facendo una media bruta che non tiene conto delle aree montuose non idonee all’apicoltura.

[6] Jay, SC & D Dixon (1988) Drifting behaviour and honey production of honeybee colonies maintained on pallets, Journal of Apicultural Research 27(4): 213-218.

[7] Pfeiffer, KJ & K Crailsheim (1998) Drifting of honeybees. Insectes Soc. 45: 151 – 167.

[8] Free J.B. (1958) The drifting of honey-bees, J. Agric. Sci. 51, 294–306.

[9] Pfeiffer, KJ & K Crailsheim (1998) Drifting of honeybees. Insectes Soc. 45: 151 – 167.  Jay, SC (1965) Drifting of honeybees in commercial apiaries 1. Effect of various environmental factors. Journal of Apicultural Research, 4(3): 167-175.

[10] Seeley, TD & ML Smith (2015) Crowding honeybee colonies in apiaries can increase their vulnerability to the deadly ectoparasite Varroa destructor. Apidologie 46:716–727.

[11]  Goodwin, RM, et al (2006) Drift of Varroa destructor-infested worker honey bees to neighbouring colonies, Journal of ApiculturalResearch, 45:3, 155-156

[12] Goodwin, RM et al (1994) The effect of drifting honey bees on the spread of American foulbrood infections. Journal of Apicultural Research 33(4): 209-212.

[14] Kralj, J. & Fuchs, S. 2006 Parasitic Varroa destructor mites influence flight duration and homing ability of infested Apis mellifera foragers. Apidologie 37: 577–587

[13] DeGrandi-Hoffman, G, et al (2016) Population growth of Varroadestructor (Acari: Varroidae) in honey bee colonies is affected by the number of  foragers with mites. Exp Appl Acarol 69:21–34.

[15] Kralj, J. & Fuchs, S. (2010) Nosema sp. influences flight behaviour of  infected honey bee (Apis mellifera) foragers. Apidologie 41(1): 21– 28.

[16] Rueppell, O, et al (2010) Altruistic self-removal of health-compromised honey bee workers from their hive. J. Evol. Bio. 23 (7): 1538–1546.

[17] Baracchi, D, et al (2012) Evidence for antiseptic behaviour towards sick adult bees in honey bee colonies. Journal of Insect Physiology 58: 1589–1596.

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